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sabato 8 novembre 2014

MUSICA [Recensione] - Pink Floyd - The Endless River


Pink Floyd

Se fossi obbligato a valutare The Endless River con l’obsoleto sistema del voto penso che gli darei o 4 o 7. Perché? Perché ci sono almeno due maniere per ascoltare il nuovo disco dei Pink Floyd. La prima, immediata, è metterlo nel giradischi e lasciarlo scorrere, come qualcosa di nuovo, mai sentito, come quando si conversa con uno sconosciuto al bar, con la speranza di trovare un nuovo amico, o semplicemente di ascoltare qualcosa di interessante: senza pregiudizi. Ascoltare, fingendo di non sapere che The Endless River è, per pubblica ammissione di Gilmour e Mason, il risultato di 20 ore di outtake di The division bell, il loro ultimo LP del 1994. Magari facendo anche finta che la copertina del giovane artista egiziano Ahmed Emad Eldin non ricordi drammaticamente un volantino dei Testimoni di Geova. Proviamo quindi ad analizzare The Endless river dimenticando di avere a che fare con materiale di scarto di un disco reunion di 20 anni fa, rivisitato da una formazione monca per 2/4 che non si è neanche presa la briga di scrivere linee vocali e testi.

Dal punto di vista della struttura, The Endless River è una lunga suite strumentale, frammentata in svariate tracce disposte su quattro lati, nella quale inevitabilmente si sente la mancanza della forma canzone, fatta eccezione per la conclusiva Louder Than Words, vero e proprio momento di liberazione dopo quasi 50 minuti di ambient. Ad onor del vero si avverte anche la mancanza di un dittatore come Waters, il quale sicuramente avrebbe aiutato a selezionare maggiormente il materiale. Ve lo immaginate no? «David, questo no, questo fa schifo, questo cambialo. Tu Nick fai così quando io faccio cosà». Ma come ben sappiamo la macchina Waters-Gilmour-Wright-Mason, tanto magica quanto delicata, si è rotta quarant’anni fa, senza mai più poter essere riparata.

Passando allo stile del disco, come già accennato, raramente ci si allontana dall’etereo sound ambient di pezzi come Cluster one o Marooned. Tempi ariosissimi quindi, com’era lecito aspettarsi da un disco quasi interamente strumentale. Tanto bending, tanta atmosfera, ma pochissime sorprese, che probabilmente è il grande difetto di questo disco: la mancanza di colpi di scena, di veri e propri scossoni. Come però recita il titolo, The Endless River è volutamente un flusso di chitarre melodiche e tappeti di tastiera, tutto o quasi "made in Gilmour-Wright", dove le parti di batteria e i disegni di basso sono totalmente al servizio di questo flusso, per lo più riassuntivo della loro carriera. Non mancano infatti palesi autocitazioni: Shine On Your Crazy Diamond e A Saucerful Of Secrets per nominarne un paio. Spiccano comunque Autumn ’68 e Talkin’Hawkin’, quest’ultima arricchita dalla commovente voce di Stephen Hawking, entrambe presenti nel lato 3 dell’opera, decisamente il più accattivante, Calling e Eyes To Pearls nella parte 4, e Nervana, misteriosamente disponibile solo come bonus track.

Tenendo quindi conto che Waters non c’è più, che già i lavori post The Wall non sono certo dei capisaldi della loro discografia, che sono passati vent’anni da The Division Bell e che The Endless River è il risultato degli outtake proprio di quelle sessioni, il voto può essere tutto sommato positivo. Un’altra maniera di approcciarsi al nuovo Pink Floyd è invece paragonarlo ad un Dark Side of the Moon, un Wish You Were Here o un Animals: il voto crollerebbe ovviamente su di un 4 secco, semplicemente per il gravoso nome che porta in copertina. Ma probabilmente la cosa più intelligente da fare è di evitare i giudizi e semplicemente godersi il capitolo finale di uno dei gruppi più amati della storia del rock.

M.M.


 Articolo scritto per www.blackout69.com

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domenica 25 maggio 2014

MUSICA [Recensione] - Triptykon - Melana Chasmata (2014)

Melana Chasmata

Curioso il destino: pochi giorni dopo l’uscita di Melana Chasmata muore H.R. Giger, l’autore di Alien. Diverse le sue collaborazioni con Thomas Fisher, prima nei Celtic Frost e più di recente con i Triptykon. Coincidenze? Può darsi. Non è una coincidenza però che il musicista abbia utilizzato più volte le visioni dell’artista per illustrare la propria musica. Il connubio tra le composizioni claustrofobiche di Fisher l’arte disturbante di Giger è, ancora una volta, indissolubile, esattamente come nel debut Eparistera Daimones e, nel lontano 1985, nei Celtic Frost di To Mega Therion

Dal punto di vista compositivo però alcune differenze rispetto al passato, anche recente, balzano subito all’orecchio. Come ben sappiamo Fischer è sinonimo di oscurità e innovazione, e la sua leggenda nasce proprio dal fatto che è sempre riuscito a portarle avanti entrambe di pari passo. Melana Chasmata, manco a dirlo, è un disco buio, nero quanto il debut ma meno monolitico. L’innovazione stavolta consiste principalmente in una più spiccata varietà delle ritmiche, delle dinamiche, delle distorsioni, del cantato, e nella scelta dei suoni. Questa freschezza si manifesta già nell’opener Tree Of Suffocating Souls, impreziosita addirittura da una melodia alla South of heaven/Spill the blood. Sì, però semiacustica. La seguente Boleskine house  sembra uscita da Songs Of Darkness, Words Of Light dei My dying bride, con tanto di cori femminili, mentre Altar of deceit potrebbe essere l’incontro tra i Cathedral di Forest of Equilibrium e i Meshuggah di Catch 33. Senza girarci troppo intorno: l’impasto dell’album è chiaramente Death/Doom oppressivo, quello dei primi anni ‘90, fondamentalmente i Celtic Frost rallentati e dopati nei suoni. Ma c’è dell’altro che lo impreziosisce, e non poco: abbondano le parti acustiche nere come la pece, o lontane come i Bathory, e addirittura qualche venatura industrial degli ultimi controversi Morbid Angel. Esagerando con il citazionismo potremmo tirar fuori anche Hermeticum dei Daemonarch, sottovalutatissimo  side project dei Moonspell di fine anni ‘90, ve lo ricordate vero?

Il nuovo Triptykon è tutto questo: fisicità, raffinatezze e buio, tanto buio. In questo senso menzioni particolari vanno per In The Sleep Of Death, brillante tributo alla tormentata figura di Emily Brontë, e per la conclusiva Waiting, un pezzo alla Sigur Rós con solo alla David Gilmour, stavolta senza esagerare. Che sia questa la nuova strada per la musica estrema? Melana chasmata sarà uno spartiacque come lo fu l’ineffabile Into The Pandemonium? Difficile forse, ma è presto per dirlo. Una cosa è sicura, tuffarsi in un disco dei Triptycon è un esperienza alienante, allettante ma pericolosa. Provateci, ma poi non venite a dirci di non avervi avvisati.

M.M.


 Articolo scritto per www.blackout69.com

venerdì 23 maggio 2014

MUSICA [Recensione] - The Black Keys-Turn blue (2014)

Turn Blue

Via, chiariamo subito il primo dubbio: Turn Blue è un album più che discreto. E chiariamo pure gli altri, non è un ritorno al garage-blues, e no, non è un capolavoro che cambierà la storia del rock. Come dichiarato recentemente da Dan Auerbach (Voce, chitarre) ogni album dei Black Keys è il risultato di esperimenti in diverse direzioni. Turn blue non interrompe questa tendenza: se El Camino era chiaramente indirizzato alle folle danzerecce delle arene che il duo dell’Ohio ha affrontato recentemente, in Turn blue c’è un parziale ritorno alle sonorità più melodiche di Brothers, senza però la prolissità e le strizzate d’occhio al pop di quest’ultimo, ma piuttosto un decisa apertura verso scelte più rock e meno alternative che in passato. Nelle tracce iniziali le atmosfere eteree e la ricerca costante della melodia, già presenti i Brothers, vengono esaltate, sfiorando il primo Pink Floyd sound, grazie anche ad un uso massiccio di chitarre acustiche e ad un’attenzione maniacale per gli arrangiamenti.C’è anche dell’altro, in alcuni brani Turn blue vira anche verso il rock nudo e crudo: è così che It’s up to you sfiora il plagio di Misty mountain hop dei Led Zeppelin, mentre la conclusiva Gotta get away potrebbe comprarire tranquillamente in Green river dei Creedence. Un’altra sorpresa  è data dalle inaspettate, quanto efficaci, linee di basso, che donano ulteriore groove ai pezzi più sincopati, quali la riuscitissima Bullet in the brain, e che amalgamano ritmica e melodia nelle parti più soft, come nell’opener The weight of love, uno dei loro brani più pindarici di sempre.
Quali i difetti? Innanzitutto le linee vocali: se nei dischi come Magic Potion o Thickfreakness la voce ruvida di Dan si stampava in testa dopo pochi ascolti e donava al tutto una certa acidità Hendrixiana, ora la scelta di utilizzare principalmente il falsetto alla lunga potrebbe annoiare. Stesso discorso per i suoni patinati odierni se confrontati con le distorsioni al limite del noise dei primi lavori, ma questa è una scelta che li accompagna da qualche disco a questa parte. Probabilmente mancano quei due-tre pezzi immediatamente riconoscibili e dal ritornello catchy: ci prova il singolo d’apertura Fever, negli intenti la nuova Your touch/Lonely boy, nel risultato colonna sonora ideale per uno spot di telefonia, fastidio compreso. È invece decisamente apprezzabile la scelta, in controtendenza, di non superare i quarantacinque minuti di durata, evitando così di appesantire l’ascolto con tracce superflue.


M.M.


 Articolo scritto per www.blackout69.com

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giovedì 1 maggio 2014

VIAGGI - Pillole di Cantabria: 12 luoghi che dovete vedere

Cantabria


Regione della Spagna settentrionale affacciata sull'Oceano Atlantico, la Cantabria assomiglia forse più alle coste meridionali della Gran Bretagna che alle regioni aride ed assolate dell'Andasulia. Uno spaccato di una Spagna atipica ma altrettanto affascinante e sicuramente più varia.
Vi proponiamo in pillole un elenco dei luoghi che secondo noi dovreste visitare per una vacanza che ne ha davvero per tutti i gusti!

 
Nacimiento del Ebro

Avete mai visto nascere un fiume? Il più lungo fiume spagnolo (ed il secondo della Penisola Iberica dopo il Tago) nasce in Cantabria, a Fontibre, presso Reinosa: dal fitto del bosco sgorga improvvisamente acqua cristallina, una piccola risorgiva con un cippo per segnalare la sorgente dell’Ebro, che inizia qui la sua corsa lunga 910 km verso il Mar Mediterraneo (una decina di chilometri a sud della città di Tortosa, in provincia di Tarragona).

Sorgente



Città romana di Julióbriga a Retortillo

Julióbriga (dal latino Iuliobriga, letteralmente Città fortificata di Julio, in memoria del padre adottivo di Augusto, Gaius Iulius Caesar) fu la città romana più importante delle 9 fondate in Cantabria. Si trova su una collina, a 917 metri di altezza, presso Retortillo, nella Valle del Campoo, nell’entroterra cantabro: una zona di passaggio tra la Costa e la Meseta (l'altopiano più antico ed esteso della Penisola Iberica). Godeva di un accesso al mare grazie al Porto della Vittoria (Portus Victoriae Iuliobrigensium), fondato nell’anno 19 a.C. sul finire delle Guerre Cantabre (alcuni studiosi collocano questo antico porto nell’attuale Baia di Santander, altri sostengono che si trovasse presso Santogna). 

Retortillo, Cantabria

Retortillo


Castillo Argüeso

Appassionati di storia, Medioevo e castelli? Non potete perdervi il Castillo de Argüeso, fortezza ed emblema della dinastia de Mendoza. Costruito tra il XII e XIV, consta di due torri quadrate unite da un corpo centrale; un patio delle armi protetto da mura e, nel centro, resti dell'antica chiesa di San Vicente. Si tratta del più antico ed eminente esempio di fortificazione castellare in Cantabria.

Cantabria


Santillana del Mar

Per rimanere in tema di Medioevo, facciamo un tuffo indietro nel tempo a Santillana del Mar, che come dicono qui è la città della tre bugie perchè «Ni es santa, ni es llana, ni tiene mar» (non è santa, non è piana e non ha nemmeno il mare), ma è stata eletta con votazione popolare “borgo più bello di Spagna” ed è il centro di maggior interesse storico-artistico della Cantabria. La principale attrazione di Santillana è La Colegiata de Santa Juliana, il più eminente esempio di romanico cantabro. La cittadina è inoltre oggetto di una intensa attività culturale durante tutto l’anno, e in particolare in occasione delle tradizionali feste quali: la Cabalcata de los Reyes Magos del 1º gennaio, in cui un corteo di carrozze e di persone in costume accompagna il crocchio dei Re Magi per le vie della città; Las Marzas, festa del 1º marzo in cui l'attrattiva principale è data dall'esecuzione di canti tipici della Cantabria che celebrano l'arrivo della primavera; la Fiesta de San Roque del 16 agosto.

Cantabria


Grotte di Altamira

A meno di due chilometri da Santillana, si trovano le celebri Grotte di Altamira, dichiarate patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1985 poiché costituiscono uno dei più famosi ed importanti siti dell'arte preistorica. La grotta originaria è lunga 270 metri e consiste in una serie di passaggi intrecciati e di camere. Gli scavi archeologici nel fondo della cava hanno portato alla luce un impressionante numero di pitture risalenti al Solutreano superiore (circa 18.500 anni fa) e al Magdaleniano inferiore (tra i 16.500 e i 14.000 anni fa). Nel lungo intervallo di tempo fra questi due periodi di occupazione umana la grotta è stata usata solo da animali selvatici. Il sito si trova in un punto strategico: chi la abitava poteva sfruttare la disponibilità di cibo costituito dalla ricca fauna delle vallate e delle montagne circostanti. Circa 13.000 anni fa una frana bloccò l'entrata della caverna, preservandone così il contenuto, fino a quando, nel 1879, viene casualmente scoperta in seguito al crollo di un albero. Nonostante siano state trovate pitture per tutta la lunghezza del cunicolo, l'occupazione umana della grotta si limitava probabilmente alla sola entrata. Gli artisti usarono carbone e ocra o ematite per dipingere, spesso diluendo i colori per produrre tonalità diverse e creare così effetti di chiaroscuro, sfruttando anche i contorni naturali delle pareti della grotta per dare un'impressione di tridimensionalità ai soggetti (principalmente mammiferi selvatici e mani umane). L'opera più incredibile è Il Soffitto Multicolore in cui sono rappresentati un branco di bisonti in differenti posizioni, due cavalli, un grande cervo e quello che sembrerebbe  essere un cinghiale. 

pitture rupestri


Negli anni Sessanta e Settanta le pitture vennero danneggiate dall'eccesso di anidride carbonica prodotta dal fiato dei numerosissimi visitatori. A partire dal 1977 Altamira venne quindi chiusa al pubblico, per poi riaprire parzialmente nel 1982. Da allora i visitatori vengono accettati in numero così ridotto che, per vedere le opere, la lista d'attesa è di almeno tre anni. Nel 2001, per ovviare in qualche modo all'inconveniente, Manuel Franquelo e Sven Nebel hanno costruito, poco distante, una copia della grotta e un museo che permettono una vista più confortevole dei dipinti colorati della grotta principale.

Cantabria


Grotte del Soplao

Nelle grotte di Soplao non è l’arte preistorica che andrete ad ammirare, ma le straordinarie bellezze della natura: un meraviglioso castello sotterraneo fatto solo di roccia e acqua. Oltre alle stalattiti e stalagmiti, nelle grotte del Soplao si trovano il maggior numero di eccentriche al mondo: stalattiti che crescono in qualsiasi direzione assumendo le forme più disparate ed impressionanti. 

Cantabria

Esistono due modi di visitare la grotta: il percorso base, specifico per persone con mobilità ridotta, e il percorso “Turismo-Avventura”, che permette di attraversare l'intera grotta muniti di tuta e casco, per rivivere le emozioni di uno speleologo che si immerge nelle viscere del nostro pianeta scoprendo luoghi intatti e mai raggiunti prima dall’uomo. 

Cantabria


Parque del Cabarceno

Se quello che vi serve è una giornata in famiglia all'aria aperta, questo parco è quello che fa per voi. Nei più di 750 ettari, che fanno del Cabárceno il maggior parco europeo della sua categoria, potrete ammirare la vita di animali provenienti da tutto il mondo, perfettamente integrati in stato di semilibertà, come tigri del Bengala, antilopi del deserto ed elefanti africani.

Cantabria


Picos de Europa

Toccare il cielo con dito? Si può: basta una gita a Los Picos de Europa per arrivare addirittura al di sopra delle nuvole! Da Santander un autobus vi porterà direttamente a Potes, e da lì con una funicolare potrete salire fino in cima a una delle tre formazioni rocciose più alte di Spagna. 

Cantabria

Se vi piace il trekking, gli uffici turistici locali vi potranno consigliare la via più adatta a voi tra le tante che si possono seguire tra le valli e le cime dei Picos (ci sono vie da 30 miuti/1 ora per famiglie e vie di ore o giorni per i più esperti).

Cantabria


Comillas

Cantabria


Per quanto riguarda Comillas e le meraviglie che questo paesino ha da offrire, vi rimandiamo a un nostro precedente post: Turistas "entre Comillas"


Suances e Liencres

Cantabria


Tra i paesi della costa cantabra vi consigilamo Suances e Liencres, con le sue immense dune di sabbia. Anche in questo caso vi rimandiamo a precedenti post del nostro blog:
Tra Oceano e Montagne, lo sguardo eterno della Natura



Santander

Dulcis in fundo... la nostra splendida Santander con le sue otto spiagge, una più bella dell’altra; la suggestiva passeggiata nella natura incontaminata verso il faro; la penisola della Maddalena e il suo parco con il Palazzo del re e le vasche di pinguini e foche a picco sul mare; il Museo Marittimo del Cantabrico, dove potete ammirare, tra le altre cose, uno scheletro di balena lungo 24.5 metri e un acquario di pesci dell’Atlantico tra cui piccoli squali e stelle marine. Curiosità: ogni giorno alle 12 un sub si immerge nella vasca principale nutrire i pesci, un momento unico della vita quotidiana del Museo, da non perdere. È possibile inoltre comprare un biglietto di entrata al Museo che comprende un pranzo nel ristornate integrato: dopo la visita potrete così gustare piatti tipici locali su una terrazza a picco sull’oceano.

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria


Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

Santander, Cantabria

sabato 12 aprile 2014

MUSICA - Pink floyd in pillole #1



Syd Barrett
Formatisi a Londra nel 1965 dall’unione del cantautore Syd Barrett (Voce e chitarra) con Roger Waters (Basso, voce), Nick Mason (Batteria) e Richard Wright (Tastiera), assumono il nome di The pink floyd sound (successivamente al 1970 mutato in Pink floyd) dopo svariati cambi di monicker. Guidati dal folle talento di Syd Barret diventano da subito elemento di spicco della scena psichedelica londinese grazie alle loro frequenti apparizioni in locali quali l’UFO Club, il Marquee o la Roundhouse.

EARLY SINGLES
È in questi anni che nascono le prime composizioni, ora trovabili nella collezione postuma Early singles, che, seppur ancorate al sound minimale e diretto di quel tempo colpiscono già per la visionarietà di Syd Barret, il quale crea mondi surreali, colorati, naif, spesso raccontando storie di vita quotidiana. Musicalmente si intravedono già gli elementi che caratterizzeranno tutto il primo periodo della band: rimiche serrate, giri di chitarra sghembi, inserti psichedelici ottenuti con strumenti improbabili, dissonanze, uso massiccio di feedback, distorsioni estreme per l’epoca. I primi successi arrivano con See Emily play e Arnold Layne, ma in questa raccolta troviamo anche altre perle, tra le quali Candy and a currant bun, Julia dream, Careful with that axe, Eugune, quest’ultima fissa in scaletta in sede live per molti anni e Scarecrow, l’unica traccia che comparirà anche nel disco di debutto.



THE PIPER AT THE GATES OF DAWN
Il 5 agosto 1967 viene dato alle stampe The piper at the gates of dawn, debutto discografico ufficiale dei Pink Floyd. Potenza e psichedelia, rock, blues ma soprattutto tantissimi spunti nuovi per quello che inizialmente verrà definito Space Rock. Syd Barret è un fiume in piena ma non solo, è l’alchimia dei quattro musicisti ad emergere dai solchi di Piper. Barret iniza a calcare la mano, compaiono pezzi più articolati e incredibilmente accattivanti quali Astronomy domine, Lucifer sam o Interstellar overdrive, cavallo di battaglia dei loro live, vicino ad altri totalmente surreali quali The gnome o Bike. Ma è soprattutto dal vivo che i quattro si fanno notare, ospiti fissi dell’UFO club, ogni venerdì sera diventa un evento. La musica psichdelica prende vita e forma, ed ora è a portata di tutti. Ogni prestazione è diversa dalla precedente: i pezzi vengono dilatati, stravolti, contorti, il tema principale rimane, ma ciò che colpisce il pubblico è l’incredibile capacità dei Pink floyd di improvvisare e creare continuamente, anche sul palco. Fino a quando qualcosa si rompe…



A SAUCERFUL OF SECRETS e MORE
In breve tempo i Pink floyd si sono affermati come la new thing dell’underground londinese, fioccano le date e le richieste di nuovo materiale. È probabilmente lo stress dovuto a questa situazione che prende il sopravvento sul leader Syd Barrett il quale inizia ad abusare di qualsiasi droga, in particolare l’LSD, ancora una novità dagli effetti semisconosciuti. Ma stress e droghe non sono cause sufficienti a spiegare l'alienazione di Barrett. Sulla sua figura ci sono centinaia di testimonianze, aneddoti, sono stati scritti fiumi di parole, ma tutt’ora non si è riusciti ad afferrare e descrivere una personalità tanto particolare quanto creativa, tanto carismatica quanto fragile. Sta di fatto che in quel periodo il consenso del pubblico verso i Pink floyd stava esplodendo, la band non poteva rischiare di mancare il successo a causa dei problemi del suo leader, sempre più imprevedibile ed estraniato dalla realtà. Per questo motivo, a malincuore, il resto della band decide di affiancare a Barrett un vecchio amico d’infanzia, il talentuoso chitarrista David Gilmour il quale, per mesi, farà da supporto in sede live al sempre più distante Barrett. A causa dei comportamenti di quest’ultimo sul palco, quali suonare con chitarre completamente scordate, smettere di  cantare per fissare invece un punto nel vuoto o semplicemente non presentarsi ai concerti, inducono la band ad allontarlo inserendo David Gilmour a tempo pieno. I due manager della band, in maniera molto poco lungimirante, abbandonano il gruppo al suo destino per seguire la carriera di Barrett, la quale si limiterà a due dischi solisti prima che il talentuoso cantautore sprofondi completamente nella pazzia, nell’alienazione e nell’isolamento.


Da questo periodo nasce A saucerful of secrets che, a dispetto delle difficoltà della band senza più leader e in pena per le condizioni dell’amico, si rivela un altro grande disco, completamente diverso dal debutto. I tempi vengono dilatati ulteriormente, le atmosfere si fanno ancora più sognanti ed eteree: pezzi come la title track, Let there be more light o Set the controls for the heart of the sun aprono la strada a quello che diventerà il sound dei Floyd: sperimentale in ogni direzione. Non solo, iniziano ad emergere anche la classe di Wright e l’eleganza di Gilmour, maestri nel creare tappeti melodici sulle ritmiche ancora più ricercate di Waters e Mason. La psichedelia non è più naif come nel periodo Barrett ma più onirica, i testi meno surreali cedendo il passo a una sorta di simbolismo: è nato l’embrione dei Pink floyd come li conosciamo oggi.


A distanza di due anni da Saucerful esce Soundtrack for the film More, rivistazione delle musiche
del lungometraggio di Barbet Shroeder. Accolto tiepidamente dalla critica e dai fans, More viene accusato di essere troppo disomogeneo e troppo folk rispetto ai lavori precedenti. Ciononostante contiene tracce importanti quali Green is the colour, l’aggressiva The nile song, la delicatissima Main theme e soprattutto Cymbaline: capolavoro assoluto nella quale Waters introduce per la prima volta un tema che in seguito comparirà spesso nei suoi testi: la critica al mercato discografico.

Cymbaline/Set the controls of the heart of the sun

 M.M.

Vedi anche:

[Recensione] - Triptykon - Melana Chasmata (2014)
[Recensione] - The Black Keys - Turn blue (2014)
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